È con il cuore colmo di gratitudine che don Filippo Macchi inizia a raccontarsi in questa intervista al termine dei due mesi passati in Italia. Lo incontriamo nella sede del Centro missionario diocesano al termine di quella che ironicamente definiamo una vera e propria “tournée” che lo ha portato in lungo e in largo per le comunità della Diocesi di Como.

«Sono davvero sorpreso e grato – racconta – per l’affetto e l’amicizia nei miei confronti. Davvero grazie di cuore alle tante persone che hanno voluto incontrarmi in queste settimane, ai parroci e ai referenti dei gruppi missionari per gli inviti che mi hanno fatto. Le richieste per incontri e celebrazioni continuano ad arrivare, ma – sinceramente e a malincuore – ora devo dire qualche “no”. Credo sia giusto custodire gli ultimi giorni prima della mia partenza, fissata per il 21 marzo, per stare un po’ con la mia famiglia».

Don Filippo, dal tuo arrivo il 15 gennaio scorso ti abbiamo visto peregrinare per la Diocesi. Ma in quanti posti sei stato?
«A dir la verità non lo so, ma mi sono ripromesso di provare a fare un conto» (pochi giorni dopo il nostro incontro ci dirà che ha avuto circa 45 incontri, ndr).

Partiamo proprio da qui: in questi incontri cosa ti ha colpito di più?
«La curiosità nei confronti della missione diocesana di Mirrote. È stato bello vedere come ad invitarmi non siano state solo le comunità in cui ho svolto il mio ministero o a cui sono legato per origine o amicizia, ma anche molte comunità con cui non ho mai avuto rapporti particolari. Sono stato in chiese, oratori, monasteri, scuole, case di riposo, associazioni; sono intervenuto in contesti anche molto diversi – dai momenti di preghiera, alle cene povere, passando per gli incontri con i gruppi di catechismo e le testimonianza agli studenti – e, devo dire ovunque, ho notato davvero una grande voglia di mettersi in ascolto. Sono rimasto colpito dalla vitalità che ho incontrato e da come, rispetto al passato, siano forse venuti a cadere alcuni steccati: agli incontri nelle parrocchie era presente davvero la comunità e non solo i membri di un gruppo. C’era chi si occupa di missioni, ma anche i catechisti, chi si occupa di liturgia, di carità».

In questi due mesi di tua assenza com’è proseguita la vita della comunità?
«La decisione di partire in gennaio non è stata casuale: in Mozambico è la stagione delle piogge. Questo significa sostanzialmente due cose: la prima è che le persone sono concentrate nella cura dei campi, per cui in questo periodo l’attività pastorale è ridotta, e la seconda è una maggior difficoltà negli spostamenti che rende difficile raggiungere le comunità che compongono la parrocchia. Per questo è il periodo “giusto” per assentarsi. Comunque l’attività pastorale non si è fermata; a Mirrote è rimasto il diacono Cornelio che garantisce una presenza stabile e, inoltre, il vescovo Alberto ha mandato un altro sacerdote per le celebrazioni».

In estate dovrebbe venire a trovarti anche un gruppo di giovani…
«Lo spero proprio. Alcuni giovani hanno dimostrato interesse e ora si tratta di accompagnarli in un percorso di avvicinamento. Il viaggio è in programma tra la fine di agosto e l’inizio di settembre e sarà un viaggio soprattutto di conoscenza della diocesi di Nacala e della missione. Giovani che fossero interessati possono contattare il Centro missionario. C’è ancora posto…»

C’è il rischio che questo viaggio possa saltare per l’insicurezza?
«Al momento come parrocchia non corriamo rischi, ma non posso negare che il cielo sopra questa parte del Mozambico sia ancora nuvoloso. Le violenze sono più a nord, oltre il fiume Lurio, ma ovviamente monitoreremo costantemente la situazione».

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