Quando incontriamo il giovane Moussa nel seminario vescovile di Como è vestito della festa: il cappotto più bello, una sciarpa elegante e un buon profumo.
“E’ così tutti i venerdì quando va alla preghiera”, racconta chi in questi otto mesi di convivenza ha imparato a conoscerlo bene.
Perché Moussa Fofana, il ventitreenne profugo del Mali che è accolto dalla comunità del seminario, è musulmano e non smette mai, nella nostra breve chiacchierata, di ringraziare Allah per averlo condotto per vie a lui misteriose, al sicuro, fino al colle di Muggiò.
“Ringrazio davvero tutti perché mi fate sentire a casa”, confida il giovane che ha voluto indirizzare alla comunità del seminario una lettera con i suoi auguri di Natale. Le strade del giovane e del seminario si sono incontrate nel maggio scorso quando il giovane, in Italia dal 2014, ha avuto finalmente l’esito della sua richiesta di protezione internazionale: due anni di permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Una bella notizia che ha portato con sé anche un’altra conseguenza: dover lasciare la struttura di accoglienza gestita dalla Cooperativa Symploké dove era ospitato. E’ allora che per il giovane si sono aperte le porte del seminario.
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Il seminario vescovile di Como
“Avevo iniziato da alcuni mesi un tirocinio da giardiniere e manutentore proprio in seminario – continua il giovane – e sapendo della mia situazione Roberto, l’uomo che aiutavo, ha chiesto al rettore se ci fosse la possibilità di ospitarmi”. E così è stato. “Sinceramente – confida Moussa – quando sono scappato da Bamako in Mali per via della guerra non avevo nessuna intenzione di venire in Europa. Pensavo di andare in Algeria, lavorare un po’ e rientrare a casa appena la situazione fosse tornata tranquilla. Ma in Algeria non c’era lavoro così mi sono spostato in Libia”.
Arrivato nel Paese, ancora segnato dalle tensioni post-Gheddafi, il giovane capisce quanto sia pericoloso e violento così, poco dopo, decide di ripartire, questa volta verso l’Europa.
“Siamo stati quasi due giorni in mare prima di essere soccorsi dagli italiani e portati in Sicilia: era il 28 aprile 2014”. Per Moussa questa è la data dell’inizio di una nuova vita. “Ora vorrei restare a Como – conclude il giovane – trovare un lavoro, una casa, guardare al futuro”.
Intanto però resterà ancora un po’ in seminario dove sembra trovarsi davvero a suo agio. Gli chiediamo come viva da musulmano nel luogo dove si formano i futuri sacerdoti. “Molto bene – sorride – tutti sono curiosi della mia storia e anche della mia religione, così anch’io lo sono di loro. C’è il rispetto reciproco e questa è la cosa più importante”. Non tutto però è perfetto. “Purtroppo – conclude il giovane – mi è capitato di essere vittima di razzismo, persone che ti dicono ‘torna a casa’, ma Como ha fatto anche tanto in termini di accoglienza e credo debba continuare così perché ‘Se tu aiuti il prossimo anche Dio ti aiuterà’”.